Alla metà degli Anni 50, Hans Selye definì lo stress come la “sindrome generale di adattamento alle sollecitazioni/richieste (stressor) dell’ambiente”, necessario alla sopravvivenza e alla vita. Lo stress, infatti, è la risposta complessa prodotta da un soggetto, nell’interazione con l’ambiente. Ciascuno di noi, in maniera del tutto soggettiva, in virtù delle esperienze vissute, filtra le diverse richieste compensando individualmente lo stimolo stressogeno. “Per fronteggiare le situazioni, l’individuo mette in atto vere e proprie strategie comportamentali che vanno sotto il nome di coping. Questi stili di coping dipendono appunto dalle caratteristiche del soggetto e dalle esperienze personali, da ciò consegue la soggettività/individualità nella risposta di stress” (ISPESL, 2002).
Tuttavia, in condizioni particolari, la risposta di adattamento può divenire dis-funzionale, ossia non è più in grado di soddisfare l’obiettivo (in questo caso si parla di distress o stress negativo). Questo può verificarsi o perché le richieste sono eccessivamente intense o perché durano troppo a lungo, superando quindi le possibilità di compensazione del soggetto in termini di capacità di risposta. Lo stress può dunque colpire qualsiasi luogo di lavoro e lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore di attività, dal livello gerarchico o dalla tipologia del rapporto di lavoro. Perciò, ferma restando la definizione di Selye, riconosciuta da tutta la comunità scientifica, generalmente si tende a focalizzare l’attenzione sull’aspetto disfunzionale del fenomeno soprattutto per le conseguenze negative che comporta, sia a livello personale che delle imprese e della società intera. In base ai calcoli dell’Health & Safety Executive britannico, “almeno la metà di tutte le giornate lavorative perse sono connesse allo stress sul lavoro”.
Le definizioni più accreditate di stress correlato al lavoro sono:
1 – “Reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifestano quando le richieste lavorative non sono commisurate alle capacità, alle risorse o alle esigenze dei lavoratori” (National Institute for Occupational Safety and Health, NIOSH, 1999).
2 – “Lo stress si manifesta quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a loro disposizione per far fronte a tali richieste” (European Agency for Safety and Health at Work, 2000).
3 – “Lo stress non è una malattia, ma una situazione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute".
Questo ultimo punto, sottolineato spesso durante i corsi di formazione sullo stress lavoro correlato, va in qualche modo chiarito per non finire, soprattutto per gli addetti ai lavori, in un processo di “normalizzazione” quando ci si trova con persone, gruppi ed organizzazioni nella fase di distress. Nel senso che è vero che non può essere considerabile come malattia/patologia a sé stante, in quanto non presente nei manuali psicodiagnostici, ma ciò non ci esime dal fatto che “lo stress può comportare una malattia”, ovvero essere l’agente tossico che avvelena l’organismo portandolo ad un vero e proprio quadro sintomatologico.
Immaginate, per esempio, una segretaria che sotto le diverse richieste esterne da parte del proprio gruppo aziendale va di fatto in una forma di distress, progressivamente questo squilibrio percepito tra richieste ambientali e capacità di risposta soggettiva aumenta nel tempo. Continuate ad immaginare la segretaria che a quel punto collega ed associa ciò che gli accade nel presente con “ciò che gli è stato fatto” nel suo passato; per esempio un padre autoritario che la rimproverava ad ogni minimo sbaglio ed errore, come di fatto fanno adesso i suoi colleghi di lavoro. Ecco immaginate come si possa sentire l'ipotetica segretaria quando, quotidianamente, ha da recarsi al lavoro con questa esperienza ripetuta, fissata ed automatica di un vissuto angoscioso del passato che si manifesta e si ri-attualizza nel qui-e-ora del presente lavorativo.
Lo stress può essere, dunque, una sorta di Trojan, per usare una analogia informatica, che sfonda il sistema per metterlo in perenne dis-equilibrio, naturalmente prescindendo dal fatto che se la segretaria vuole assumersi la responsabilità di cambiare questo diventa compito della clinica e della psicoterapia per poter elaborare il suo passato doloroso, ma di fatto ogni lavoratore ha le sue debolezze, difficoltà, inadeguatezze, mancanze, ecc. che si ri-attualizzano sovente nel presente e nel luogo di lavoro. Postulare un lavoratore "perfetto", il cui passato è meraviglioso e la cui capacità di risposta è alta in qualsiasi momento è solo una idealizzazione di un uomo o di una donna che di fatto non esiste nella realtà.
In conclusione, è importante non ridurre lo stress lavoro correlato come se fosse qualcosa che fisiologicamente accade all'interno dell'organizzazione, minimizzando la sua importanza. Esso dipende dal grado e dall'intensità del fenomeno e dalla differenza significativa tra eustress e distress, non a caso esiste una valutazione apposita che ci permette, qualora risultassero forti variabili stressogene, di approfondire ciò che accade all'interno del gruppo lavorativo per fronteggiarlo e migliorare la qualità del lavoro e della vita della persona.
Mi chiamo Alessandro Drago, sono laureato in Psicologia del Lavoro all’Università di Firenze con una tesi sulla qualità del lavoro in ambito telematico. Specializzato in Psicoterapia a Genova, ho maturato numerose esperienze in diverse aziende (tra cui: Lucart; Intermarine; Sky Eye Systems; Welcome Italia; ecc.) come Formatore Salute e Sicurezza, Empowerment Organizzativo e Soft Skillls.